Senza innovazione tecnologica non c’è progresso e senza ricerca non c’è innovazione tecnologia. La ricerca però costa. E chi può permettersela, in campo commerciale? Poche imprese, decisamente. Per lo più multinazionali che fatturano più degli Stati, come Apple, Microsoft o Amazon.
Chi non rientra in questa categoria e ha bisogno di dati a disposizione, può usare gli open data, ossia dei dati messi a disposizione di tutti in modo libero e gratuito. In tutti i Paesi d’Europa e del mondo, infatti, gli open data sono sempre più utilizzati sia dalle imprese che vogliono crescere e non hanno i mezzi per finanziare una ricerca, sia dalle pubbliche amministrazioni per migliorare i propri servizi alla comunità.
Com’è, invece, la situazione in Italia in merito a imprese e open data? Lo abbiamo chiesto agli autori di Open Data Day, i quali ci hanno risposto così:
In Italia c’è una generale arretratezza in tal senso rispetto agli altri Paesi, questo per due principali motivi: la quantità e la qualità dei dati. In pratica, gli open data disponibili in Italia sono pochi, sia perché chi li colleziona non vuole diffonderli, sia perché non c’è un movimento di persone che li richiede, perché se ne parla ancora troppo poco, ma a ben vedere ci sono startup in Paesi quali Germania e Regno Unito che stanno crescendo grazie ad una combinazione di idee innovative e uso di dati aperti. Per quanto riguarda la qualità, invece, ci riferiamo al fatto che i dati aperti disponibili, al momento, non sono di grande interesse commerciale: i dati catastali, ad esempio, di cui c’è grande richiesta, non sono ancora forniti in maniera libera e gratuita. Se sono proprio i dati di interesse commerciale a restare chiusi, nessun mercato potrà mai progredire.
Al momento, dunque, l’Italia sembra essere un passo indietro rispetto agli altri Paesi, ma un cambiamento di direzione in tal senso, innanzitutto dalla pubblica amministrazione, potrebbe accelerare lo sviluppo economico e far emergere più imprese.