Fondata nel 1994, Amazon è un’azienda che in venti anni si è imposta come leader del mercato mondiale in diversi settori, tutto grazie a Internet e all’e-commerce.
Oggi Amazon consegna prodotti in quasi tutto il mondo e ha stabilimenti in diversi Paesi di tutti i continenti.
Quali sono i suoi punti di forza?
Sicuramente l’approccio customer-centric: non si è mai sentito di un cliente che sia insoddisfatto di Amazon. Questo perché dalla pagina web alla porta di casa il cliente riceve un trattamento degno di un monarca, trattamento che poi continua con il servizio post-vendita.
Sul sito si trovano informazioni precise per ogni prodotto, il processo di acquisto è semplice e le modalità di pagamento sono molto sicure.
Concluso l’acquisto, la spedizione è tracciabile e la merce viene ricevuta sempre nel giorno stabilito, anche se l’ordine è stato effettuato il giorno prima per il giorno dopo. In alcuni casi, entro 12 ore è possibile vedere il corriere alla porta di casa con il nostro pacco.
La domanda che alcuni si pongono è: chi c’è dietro tutto questo? Lavoratori, certo. Ma come è organizzato il lavoro? Quali sono le condizioni dei lavoratori di Amazon.
A queste domande ha risposto un’inchiesta del New York Times di un po’ di tempo fa, raccontando cosa accade negli stabilimenti in cui i prodotti vengono smistati e preparati per la spedizione che raggiungerà il destinatario dell’acquisto.
L’aria che si respira, racconta il NY Times, è quella di esasperata stimolazione a produrre sempre di più, a fare tutto in modo sempre più veloce e a lavorare sempre più a lungo, anche fino a ottanta ore a settimana.
Tutti gli impiegati sono addestrati a soddisfare ogni richiesta dei clienti in una maniera quasi ossessiva, con la tendenza a farlo diventare un bisogno di prima necessità al pari di mangiare e dormire.
Tutti sono monitorati non solo in ogni fase della loro giornata lavorativa, ma anche quando si assentano dalla postazione per andare in bagno o per andare in pausa pranzo, controllando i minuti impiegati in tali attività.
A quelli che invece hanno l’incarico di team leader, viene detto di lavorare ad uno standard di produttività più alto possibile, standard che di volta in volta viene alzato, cosicché ai dipendenti viene chiesto di adeguarsi di conseguenza.
Le testimonianze raccolte dalla nota testata americana parlano di persone che sono scoppiate in lacrime per lo stress e di altre che sono collassate sul posto di lavoro, talvolta a causa della mancanza di aria condizionata, con autoambulanze che attendono all’esterno della struttura, certe di dover fronteggiare una o più emergenze da un momento all’altro.
Viene inoltre scoraggiato ogni clima di collaborazione tra i dipendenti, i quali vengono invece invitati a riportare ogni minima mancanza da parte di altri colleghi. Esistono programmi di miglioramento prestazioni e di isolamento con videosorveglianza costante.
L’alienazione raggiunge un punto tale che spesso sono gli stessi dipendenti a voler lavorare di più, come testimonia una ex dipendente che ha lavorato per Amazon dal 2008 al 2014 alle vendite di prodotti di natura scientifica e sulle gift card, la quale afferma di essere arrivata a non dormire per quattro giorni consecutivi, pur di raggiungere i suoi obiettivi.
In più occasioni, comunque, Jeff Bezos ha smentito ogni accusa, rispondendo anche direttamente all’inchiesta del NY Times, affermando che quella descritta nell’articolo non è la Amazon che conosce lui, i cui dipendenti sono invece soddisfatti del loro posto di lavoro e che i dati riportati dall’inchiesta fossero esagerati, poiché a suo parere, se fosse tutto vero, nessuno lavorerebbe per Amazon, visto che il mercato delle assunzioni è molto competitivo. Bezos ha infine ribadito che rinnega quella Amazon, augurandosi che nemmeno i dipendenti si riconoscano in quel modello.